Che cosa vuol dire accogliere?

Lorenzo Scalchi

Accogliere è un verbo che usiamo spesso. Probabilmente ci sono pochi periodi storici comparabili all’ultimo decennio in quanto a presenza di questa parola nel discorso pubblico.

Possiamo intuirne il motivo: indica una delle risposte della nostra società ai fenomeni migratori più recenti, caratterizzati dall’aumento della mobilità lungo le rotte del Mediterraneo o dell’Europa sudorientale. In questo uso quasi quotidiano ci sono delle accezioni del verbo più fortunate di altre. Ci siamo abituati a usare accogliere come sinonimo di accettare. Lo facciamo quando stiamo valutando se una persona possa o meno rimanere sul territorio dello Stato.

I temi dell’immigrazione hanno contribuito anche al successo di accoglienza come sinonimo di rifugio, enfatizzando la dimensione del sostegno e della protezione. C’è, tuttavia, un significato, tra tutti forse il più letterale, che sembra essere passato in secondo piano: accogliere è ricevere in un luogo. Un’accezione che descrive una situazione più vicina e quotidiana, meno legata alle regole dell’accettazione o all’offerta di aiuto, e che indica che accoglienza è occasione non solo d’incontro, ma soprattutto di ascolto e di conoscenza di storie altrui.

Il letto di un minore accolto dalla comunità educativa Casa Annunciata a Como gestita dalla Fondazione Somaschi

 Questo terzo significato mette sotto un’altra luce anche i percorsi di accoglienza delle e dei minori stranieri non accompagnati, che non sono solo occasioni di accettazione e di aiuto, ma processi caratterizzati da un’enorme mole di storie prodotte.

Sono storie ascoltate e raccontate, in forma orale o in forma scritta, documentate o inventate. Ci sono le brevi storie raccolte nelle interviste legali sulla banchina dei porti di sbarco, nei rapporti delle forze dell’ordine, nelle relazioni dei servizi sociali. Ci sono storie in lingua madre, tradotte dai mediatori e dalle mediatrici linguistico culturali. Ci sono i desideri, i sogni o i traumi, rielaborati e appuntati durante una sessione di psicoterapia. 

Accoglienza è, dunque, produzione e condivisione di storie, attorno alle quali non vi è solo il ragazzo o la ragazza che arriva in Italia, ma tutta una serie di soggetti che, con ruoli, funzioni e obiettivi diversi, intervengono producendone altre. Sono i policy maker, a livello nazionale, regionale e locale. Sono le persone che lavorano nelle aziende sanitarie, nei tribunali, nei comuni. Sono assistenti sociali, personale educativo e operativo delle comunità di accoglienza, tutrici e tutori volontari, ma sono anche i membri della famiglia di origine, più o meno vicini, più o meno influenti. 

Raccontare una storia è un’impresa di per sé, ma questa complessità di punti di vista può indurre in chi la deve produrre o interpretare il rischio di un’eccessiva semplificazione, alla convinzione che ogni storia sia uguale a un’altra, fino al perdere di vista i protagonisti e le protagoniste.

Il progetto Di’ Tu ha preso le distanze da un rischio simile, partendo dal presupposto che le politiche di accoglienza e di integrazione non sono sufficientemente orientate all’acquisizione del punto di vista dei minori e delle minori nelle scelte che li riguardano, come indicano i principi della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. 

Ripensare all’idea di accoglienza nel senso di occasione di produzione di racconti è importante perché permette di riconoscere la centralità di alcune azioni che solitamente si considerano banali. Si tratta delle modalità in cui chi accoglie sa ascoltare chi è accolto o accolta, possiede le chiavi di lettura per comprendere, sa raccogliere dati e informazioni prima di esprimersi, ma, ancor prima, sa garantire eguale dignità alla persona da cui riceve un racconto e su cui poi dovrà prendere una decisione. Dignità significa riconoscimento di un uguale diritto a esprimersi e cura che vi siano spazi e tempi per la comprensione e per una relazione reciproca. Una relazione è una combinazione magica di nessi tra sguardi, frasi e oggetti. È un gioco tra emozioni e significati che ciascuno, soggettivamente, percepisce e si trova a raccontare. 

Una ragazza nigeriana in una comunità d'accoglienza a Milano

Se e in che modo questa accoglienza possa concretamente realizzarsi è la domanda che ci siamo posti all’inizio del percorso di ricerca, un viaggio realizzato con più di 50 minori e neo-maggiorenni accolti in Lombardia, fatto di incontri, interviste e laboratori di ascolto che ha prodotto le Linee guida per la buona accoglienza e integrazione sul territorio, dove offriamo alcune elaborazioni per orientare lo sguardo dei soggetti coinvolti nella governance dei servizi e della cittadinanza. 

Da questo percorso sono emersi alcuni esiti importanti. Abbiamo compreso che gli enti locali e le comunità di accoglienza possono mettere in pratica effettive pratiche di ascolto e di condivisione, ad esempio garantendo la correttezza dei processi di accertamento della minore età o delle condizioni sociali, psicologiche e sanitarie dei minori e delle minori presi in carico. Queste pratiche aiutano a garantire l’accesso in strutture adatte alle loro caratteristiche e a prevenire possibili disagi. 

È emersa anche l’importanza di coinvolgere ragazze e ragazzi nella definizione del proprio progetto di vita. Una personalizzazione maggiore dei percorsi, sia nelle prime fasi dell’accoglienza (molto delicate dal punto di vista della protezione e della tutela e per l’elaborazione del progetto individuale), che nel percorso verso l’autonomia, favorisce, infatti, il raggiungimento di risultati incoraggianti e aumenta la fiducia verso se stessi e verso il contesto che li accoglie.

Abbiamo capito, inoltre, che ogni persona con una funzione educativa, di tutela o di cura può influenzare in modo rilevante le scelte formative, lavorative o abitative dei minori e delle minori che si avvicinano alla maggiore età, momento in cui solitamente si conclude il percorso di accoglienza. Per questo, è fondamentale non solo cercare e comunicare le opportunità concrete che il territorio offre, ma anche farsi un’idea delle aspettative, dei bisogni e delle aspirazioni personali. 

È utile, quindi, ritornare all’idea dell’accoglienza come spazio di incontro, di racconto e di confronto tra più soggetti. In questo esercizio il diritto a esprimersi e a raccontarsi è anche un’occasione importante per chi ha la funzione di rivedere, valutare e riprogettare le politiche nel caso siano poco efficaci o producano un impatto negativo su chi ne dovrebbe beneficiare. Chi accoglie può, infatti, riconoscere che i minori e le minori non sono solo soggetti da aiutare o da tutelare, ma anche persone competenti ed esperte a valutare gli esiti delle politiche proposte sulla propria vita. 

Sappiamo che ci sono sempre almeno due versioni della stessa storia. Sarebbe importante riconoscerlo.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi